Sant'Agata di Puglia, dove la storia vive nelle case
Arroccato su uno dei monti del Subappennino Dauno Meridionale, con un panorama mozzafiato, il borgo di Sant’Agata è un raffinato esempio di museo a cielo aperto dove a parlare e a raccontare di un passato che affonda le sue radici nell’età romana, sono le facciate delle case.
Passeggiando nelle suggestive vie in pietra della cosiddetta Loggia delle Puglie, si scoprirà, passo dopo passo, il Parco Urbano delle Opere in Pietra. Son gli stemmi gentilizi che delicatamente adornano la facciata di ogni abitazione: fiori, immagini sacre, conchiglie, animali reali o fantastici e figure antropomorfe sono i motivi più diffusi. Ma, come dice un proverbio pugliese, "Chi vo mal a sta cas a va morì prima ca trass" ("Chi vuole male a questa casa deve morire prima di entrare") e per preservare il focolare domestico da invidie e spiriti maligni ecco alternarsi anche volti lugubri, corna e maschere antropomorfe che mostrano denti e lingua con l’intento di allontanare la cattiva sorte. Le decorazioni rivelano anche la presenza di una casata nobiliare, ben riconoscibile grazie allo stemma araldico, o un determinato mestiere: le chiavi e i martelli vanno a indicare la bottega del fabbro mentre le forbici sulla facciata della casa del sarto.
La passeggiata per le vie del suggestivo centro che nasce e si sviluppa a partire dal primitivo nucleo abitato costituito dal Castello e dalla Piazza Chiancato, può prendere il via attraversando la Porta Nuova o una delle porte storiche, a seconda della nostra strada di provenienza: Portella Sant’Angelo (aperta verso la Campania) o Porta Perillo (verso le Puglie). Entrando nel borgo è ancora possibile vedere parti della prima cinta murata, eretta dai Longobardi, restaurata poi dagli Svevi e dagli Angioini, a protezione del castello, e comprendere come si sia evoluto l’assetto difensivo della rocca e del borgo che, espandendosi, faceva sì che venissero abbattute le mura di cinta precedenti e edificate le nuove. Oggi la doppia cinta muraria è ancora perfettamente visibile: la più antica racchiude il castello longobardo mentre la seconda protegge la cittadella con l’Arco della Porta Nuova.
Particolarmente curiosa è il tipo di struttura, preservatasi nei secoli, di forma spiraliforme che, partendo dal castello, scende verso la valle in un labirinto di vicoli, ripide scalinate, archi, torrette, campanili e ci riporta a Porta Nuova da dove è iniziata la nostra visita alla Loggia delle Puglie. Di fronte a noi la chiesa della SS Trinità e poco oltre i palazzi Torraca-Rosati e Vinciguerra, due delle più importanti dimore signorili tra le tanti presenti nel centro storico e arricchite da raffinate decorazioni sul portale d’ingresso. Tra case di artigiani e abitazioni comuni, ecco alternarsi ancora il Palazzo Volpe, edificato tra il XV e XVII secolo, in Via Perillo; poco più in alto, tra la Piazza Vecchia e la Chiesa di San Nicola, il Palazzo De Marinis Calcagno del 1500; ancora Palazzo Capria e, ai confini con la cinta muraria urbana, Palazzo Barbato, edificato tra il XVIII e il XIX secolo e caratterizzato da ampi portali che vanno a comporre i due ingressi principali con al centro degli archi due volti barbuti a rappresentare, come accadeva spesso negli altri palazzi, il cognome della famiglia.
Una volta oltrepassata la cinta muraria meritano sicuramente una visita i complessi religiosi, simboli di una fede solida e sentita: la Chiesa di San Rocco,la Chiesa della SS. Annunziata con il Convento dei Frati Francescani Minori Conventuali, la Chiesa di Santa Maria delle Grazie, la Cappella del Calvario, la Chiesa della Madonna dell'Arco, la Chiesa del Cimitero.
Un castello da leggenda!
Simbolo del borgo è sicuramente il castello, attorno al quale si diramano le strette vie del centro storico. Ottimo osservatorio e punto strategico, a dominio della valle del Calaggio, dei confini dell’Irpinia, della Lucania e della Daunia, fu inserito da Federico II tra i castelli di primaria importanza a fini militari.
Composto da 4 torri, 16 appartamenti nel sottotetto e 27 al primo piano, la rocca nasce in età romana come tempio dedicato alla dea Artemide; durante la dominazione longobarda diviene Gastaldato, quindi provincia militare e amministrativa e con i Normanni è sede di Castellania, governata direttamente dall’imperatore Federico II di Svevia. Passa infine sotto il dominio diretto della dinastia angioina per 172 anni per poi finire in mano agli aragonesi. Nel 2000 il castello viene infine acquistato dall’amministrazione comunale che ne fa un importate bene culturale e pubblico garantendone la completa fruibilità.
Particolarmente curiosa è la leggenda, legata appunto alla rocca imperiale, del feudatario Agatone, abile condottiero che diede forza e vigore all’economia e all’intero territorio di Sant’Agata ma che regnò in maniera dispotica e violenta. La tradizione popolare vuole che sia stato sgozzato dal suo barbiere di fiducia che, prossimo alle nozze con una bella ragazza del posto, non voleva “cederla” al feudatario il quale reclamava e pretendeva lo Ius Primae Noctis. Ancora oggi sotto la volta dell’atrio di accesso al cortile del Castello, è visibile il ritratto di Agatone, fatto realizzare dai Marchesi Loffredo nella cui fascia esterno è scritto: "Agatho dux arcis Sanctae Agathae - mori potius quam foedari".
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